Renata Casarin

"L'estetica dell'esistere e l'arte del fare"

La necessità d’essere artista, uomo creativo al centro dell’essere e del sé, di Antonio Haupala ha radici lontane. Nato nel 1956 da padre thailandese e madre italiana, egli ha fuso i sapori, i profumi orientali con l’eclettismo culturale degli Stati Uniti dove, nella città di Indianapolis nello stato dell’lndiana, ha vissuto l’adolescenza prima di giungere in Italia per compiere gli studi scientifici e laurearsi in giurisprudenza a Bologna. Le sue prove iniziali sono composizioni lussureggianti, evocatrici di paesaggi esotici nei quali predomina l’onirismo di figure abbandonate alla nostalgia, alla memoria, senza tuttavia mai smarrire la coscienza della loro storia. La rivisitazione di Gauguin e degli artisti Nabis legati alla cerchia di Pont-Aven è funzionale al percorso critico d’interrogazione sui propri strumenti espressivi e d’empatia culturale che Haupala non abbandona, per obbedire all’esigenza di dar forma all’unicità della propria verità umana e artistica. Per questo oggi la pittura è la sua professione, compito inderogabile a dipingere quanto gli occhi hanno visto, a fissare ciò che il cuore ancora sente. La percezione dell’esistente coincide con l’estetica del fare; così Antonio Haupala ferma sulla tela “tranche de vie”, immagini domestiche nelle quali la via decanta e distilla la ragione degli affetti. Intimità, calore, gesti lenti, felici abbandoni, emergono dai quadri di Haupala: le azioni in se stesse non hanno significato, acquistano senso solo come forme di una vita autentica, irrinunciabile. Afferrare l’immagine dei figli che giocano, della compagna intenta a leggere o che si prepara per andare al lavoro, vuol dire mettere in equilibrio il disordine del vivere, restituire per sé e per chi guarda un modo di pensare al tempo e alla storia degli uomini. La casa è il microcosmo dove anche gli oggetti, gli animali, le case inanimate, raccontano di un esserci che vuole pacificare gli opposti, sanare le ferite, annullare le distanze o comprendere tutte le misure per fare della memoria un unico grumo di coscienza. La tradizione del Simbolismo introspettivo e autoanalitico è la fonte figurativa a cui guarda Haupala. Whistler, Vuillard, Vallotton, gli hanno insegnato che la realtà è il luogo della trasformazione e condensazione simbolica del visibile in forme di rispecchiamento e d’incontro con l’altra parte del sé. Si spiegano i tagli improbabili delle scene, la funzione di specchio degli interni dove lo sfondo rivela la figura, la compenetra per dar vita a una fenomenologia dell’esserci. Nessuna tensione trapela, l’ordine del sentire regna: i corpi, come le cose sono immagini solidali, indissolubilmente legate alla percezione dell’lo contro l’apparenza e la falsità di quanto stagna in superficie. In questo regno armonico nulla indulge al decorativismo; come i maestri simbolisti dell’area francese e tedesca, sino agli esiti metafisici dell’italiano Casorati, Haupala sa che si tratta di piegare il colore e la forma al dettato dell’arte, d’affermare la coscienza del sentire e l’intelligenza dell’esistere.

Renata Casarin. 1997

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